venerdì 15 giugno 2007

ISCRIZIONI APOTROPAICHE SU AFFRESCHI VOTIVI DEL TARDO MEDIOEVO A BRESCIA. PARTE I: LA CHIESA DI SANTO STEFANO A ROVATO

Pubblicato in Storiadelmondo n. 47, 4 giugno

GIORGIO DIMITRIADIS - GIANFRANCO MASSETTI
LE RAGIONI DELLA RICERCA
Nel corso dei lavori eseguiti nella prima metà del XX secolo all’interno dell’antica chiesa campestre di Santo Stefano a Rovato[1], ai piedi dello sperone collinare del monte Orfano, sono ricomparsi lungo le pareti perimetrali un gran numero di affreschi votivi di buona fattura, che uno spesso strato di calce ricopriva dai tempi della peste del 1630. Tali affreschi risalgono per lo più alla seconda metà del quattrocento e lasciano trapelare per la loro esecuzione delle motivazioni di carattere votivo. Una singolarità che si riscontra è inoltre la presenza su di essi di incisioni graffite o di iscrizioni di poco posteriori, in genere, all’esecuzione degli stessi. Segni, sigle, note, nomi di persona, date, simboli sacri e taumaturgici o addirittura semplici scalfitture ci indirizzano così verso una loro interpretazione non convenzionale, che privilegia il tema della devozione in termini di pratica superstiziosa.
La nostra ricerca sarà centrata sulla necessità di far emergere questo significato ed il rapporto simbiotico che intercorre tra graffito - segno ed affresco votivo. E’ infatti nostra convinzione che la collocazione delle iscrizioni non avvenga mai casualmente e che queste rimandino in numerosi casi a forme di esorcismo o a particolari richieste di protezione, legate soprattutto alle qualità taumaturgiche del soggetto su cui vengono riportate.

LA CHIESA DI SANTO STEFANO[2]

STRUTTURA ARCHITETTONICA[3] E DATAZIONE
La pianta della chiesa di santo Stefano presenta un’abside semicircolare realizzata in muratura grossolana con ciottoli alternati a conci e mattoni in ordine sparso tenuti insieme da malta. Il modello costruttivo al quale si rifà è quello delle strutture architettoniche sorte attorno all’XI-XII secolo nella pianura bresciana. Esternamente l’abside risulta decorata da un motivo ornamentale con denti di sega in cotto, che probabilmente sovrastava una serie di archetti. Al centro del perimetro esterno è del resto ancora visibile una monofora quadrata piuttosto bassa e con larga strombatura liscia, che attualmente è però sigillata. Una simile apertura si riscontra anche nel muro esterno della navata settentrionale, mentre dall’analisi delle pareti divisorie interne, si presume che la chiesa, fino al XV secolo, presentasse un’unica navata. In complesso, l’edificio anche se risulta inscritto, come si è detto, in un periodo architettonico ben definito, presenta delle anomalie strutturali, come ad esempio gli archi acuti con imposta molto bassa (questi consentono di anticipare la datazione della chiesa a prima del trecento), oppure come le arcate cieche sulla parete esterna della navata meridionale.
Secondo la storiografia locale, la chiesa di Santo Stefano [Fig. 1] fu fondata in epoca pre-longobarda[4] e più precisamente nei secoli V-VI d.C., lungo un diverticolo dell’itinerario Burdigalense, che conduceva i pellegrini da Bordeaux alla Terra Santa. In origine, la chiesa era forse un ospizio per viandanti, ma di questa funzione si sa veramente poco, in quanto gli affreschi attualmente visibili risalgono al XV-XVI secolo e sono dunque posteriori all’epoca dei grandi pellegrinaggi verso Gerusalemme.

A cavallo degli anni 1440-1450, pare che la chiesa sia stata modificata nell’edificio di culto a tre navate che oggi vediamo. La navata centrale termina con l’abside semicircolare larga; la navata settentrionale è divisa da quella centrale da una serie di tre archi a sesto acuto, mentre quella meridionale è separata da un solo grande arco. Sembra che la data ante quem relativa alla realizzazione della navata meridionale possa essere stabilita grazie al graffito dell’affresco del pilastro di sinistra del grande arco laterale, che riporta il nome di Antonio Paitoni e la data del 1461[5]. Dalla presenza di affreschi che ritraggono i santi diaconi Lorenzo e Stefano, cui la chiesa è dedicata, apprendiamo inoltre che in origine l’edifico sacro fu presumibilmente adibito a diaconia[6].
Al tempo della visita di san Carlo Borromeo, nel 1580, l’edificio, infine, si presenta con due navate, tre altari e una cappella con volte a vela di dimensioni abbastanza ampie. Qui alla data del 6 ottobre di quell’anno il cardinale di Milano consegnerà la veste talare a Federico Borromeo suo cugino[7].

DESCRIZIONE GENERALE DEGLI AFFRESCHI
Di ottima fattura, gli affreschi della calotta absidale presentano un Cristo Pantocrator inscritto in una mandorla policroma dai colori dell’iride. La figura di Gesù è circondata dai rimandi simbolici dei quattro evangelisti (l’aquila, il leone, il bue e l’angelo che stanno rispettivamente per Giovanni, Marco, Luca e Matteo). Come sfondo al Cristo Pantocrator abbiamo anche un paesaggio naturalistico che ritrae verosimilmente il monte Orfano con il convento dell’Annunciata ed uno squarcio del lago d’Iseo[8].
Nel registro inferiore, si notano, a sinistra, il processo di santo Stefano davanti al Sinedrio e la rappresentazione del suo martirio, al centro, una crocifissione e, a destra, un’Ultima Cena.
Nei sottarchi affrescati sono invece inserite delle figure di profeti e sibille avvolte da cartigli e ghirigori di gusto goticheggiante, contemporanei agli affreschi presenti in altre chiese bresciane. Tali figure fanno capo alla scuola di un maestro non bene identificabile, ma di sicuro operante verso la fine del XV secolo, in un’epoca di trapasso dallo stile gotico a quello rinascimentale. Secondo gli storici dell’arte più accreditati, come il Panazza e il Mazzini[9], sia i profeti sia le sibille fluttuano in un sottofondo di paesaggi panoramici dove minuziosamente si riportano dei particolari ambientali, fatto che li conduce ad attribuire all’ignoto pittore i probabili nomi di Paolo da Cailina o di Paolo da Brescia. Se invece tali affreschi si confrontano con quelli prossimi al territorio dove sorge la chiesa di santo Stefano, cioè con gli affreschi del convento dell’Annunciata del monte Orfano, i quali sono datati al 1480-1485, spunta il nome di Liberale da Verona, che proprio in quegli anni lavorava a Rovato per decorare la chiesa dei frati Serviti[10].

Gli affreschi più antichi[11] presenti in santo Stefano sono quelli della navata centrale, collocati in controfacciata e lungo le pareti degli arconi che dividono la chiesa. Un san Martino a cavallo ed un san Biagio risalgono quasi sicuramente al XIV secolo, mentre l’affresco con la Madonna del latte, pur risentendo del clima stilistico del trecento, può essere fatto risalire agli inizi del secolo successivo. Tardogotici sono pure la Crocifissione e la Madonna con bambino sulla parete meridionale dell'arcone che fa angolo con la controfacciata.
In ogni caso, si può tranquillamente sostenere che la maggioranza degli affreschi presenti in santo Stefano, sia nella navata meridionale che nella controfacciata, sono databili alla seconda metà del quattrocento.

LE TEMATICHE DEI GRAFITTI

1. INVOCAZIONE DI PROSPERITA E BUONA SORTE

La maggior parte degli affreschi di santo Stefano presenta dei graffiti che, a giudicare dalla traccia lasciata, sono stati eseguiti con punta metallica di chiodi o coltellini da potatura. I graffiti riportano dei nomi di famiglie locali accompagnati sovente da date che però non siamo in grado di stabilire se siano riferiti al giorno del decesso della persona, ad una guarigione o ad una nascita. Numerosi sono i simboli, quali: croci, scale, chiavi, il sacro cuore di Gesù, stelle di Salomone (sono per la precisione due, una grande e una più piccola) e un curioso intreccio riconducibile ad uno pseudo - nodo di Salomone[12].
Quest’ultimo si trova a ridosso di alcune dediche e mantiene una struttura da nodo senza esserlo tuttavia effettivamente, dal momento che l’intreccio non si completa. Quale potrebbe essere il significato ad esso attribuito e la ragione che giustifica la sua presenza in una zona dove non è consueto trovare questo simbolo? Al momento attuale della ricerca possiamo soltanto segnalare che esso ha come unico riscontro un vero nodo di Salomone scolpito sulla facciata laterale interna alla base del portale di una casa[13] del centro storico di Rovato [Fig. 2], all’interno delle mura dell’antico castello. Il portale, plasmato in morbida pietra di Sarnico (arenaria), è di colore grigio chiaro cenere. Sulla facciata esterna, sono scolpite due diverse piante attorcigliate lungo le colonne che terminano in un rosone a petali regolari tondi. L’analisi dell’impianto delle foglie rimanda rispettivamente alle piante di vite e di edera sempre verdi, simboli di rinascita e della vita.

Lo pseudo-nodo di Salomone[14] è collocato su una figura di santo vescovo (così identificabile dal pastorale che termina con una testa di drago), che si trova sul pilastro che sottende il grande arco della navata meridionale. Si tratta in questo caso di una figura devozionale non meglio identificabile, dove troviamo inserita all’altezza del mantello anche una specie di dedica: «Paiton Antoni 1461 VIG. pastor». Tale scritta è rafforzata da due stelle di Salomone poste pochi centimetri più in basso, che a nostro avviso sono contemporanee alla dedica. È da sottolineare che nei registri del consiglio del comune di Brescia appare in questa epoca un Antonio Paitoni nella veste di rappresentante della comunità cittadina[15] e la sua presenza a Rovato è forse da mettere in relazione con qualche missione politica presso il consiglio di questo comune.
Particolare interesse destano, senza possibilità di ulteriori approfondimenti, la dedica parzialmente decifrabile che rimanda a un Jacobus r[i]gina, in bella calligrafia rinascimentale, con lettere quadrate che denotano l’influenza dei caratteri a stampa, e l’accostamento fra la raffigurazione di un sacro cuore disegnato con pastello di color ocra e un graffito che rappresenta le chiavi di san Pietro capovolte (cfr. Parte II del ns. articolo), presenti entrambi nella medesima nicchia. Il resto delle scritte qui conservate consiste di nomi contemporanei come «Barbara», «Loredana», «Alberto» et alii, da soli o inseriti all’interno di cuori trafitti, che sono il prodotto dell’emulazione vandalica della passata devozione popolare.

2. L’ESORCISMO ANTIEBRAICO

Come risulta dall’analisi fatta in santo Stefano, la maggior parte dei graffiti si trova nella navata meridionale della chiesa, dove il ciclo agiografico degli affreschi è incentrato attorno all’immagine del presunto martire Simonino da Trento [Fig. 3], la cui storia, anche se ben nota, è qui opportuno riassumere per sommi capi[16].
Cronologicamente l’origine del culto di Simonino da Trento si colloca verso la fine del XV secolo, a seguito dei fatti accaduti in Trento nell’imminenza della Pasqua del 1475, per l’esattezza nei giorni tra il 23 e il 25 marzo di quell’anno. La scomparsa di un bambino cristiano di soli 29 mesi crea nei cittadini di Trento allarme e sospetti nei confronti della locale comunità ebraica. Il caso, o chi per esso, vuole che il cadavere del bambino sia rinvenuto proprio nelle acque della roggia che scorre poco distante dalle abitazioni degli ebrei. Di fronte al referto autoptico, che parla di strangolamento e di torture, le indagini che vengono svolte dall’autorità giudiziaria fanno così cadere la responsabilità dell’omicidio su questi ultimi, rinfocolando per la circostanza l’antica accusa di omicidio rituale.
A posteriori di questa incredibile vicenda è tuttavia possibile scorgere la mano di una regia occulta, che agisce in nome di vasti ed articolati interessi. Indicativo della vicenda che si svolge a Trento e delle questioni che si giocano su di essa è ad esempio il coinvolgimento di due bresciani: Giovanni de Salis, che a Trento ricopre la carica di podestà, e Giovanni Mattia Tiberino (o meglio Tabarino), il medico che esegue l’autopsia del cadavere di Simonino, il cui referto sarà decisivo per l’incriminazione degli ebrei.
Umanista e cultore di belle lettere, il Tiberino si preoccupa, a processo appena iniziato, di diffondere uno scritto in forma di epistola, la Passio Beati Simonis Pueri Tridentini, che rivolge ai conterranei di Brescia per ammonirli nei confronti dell’insidia rappresentata dagli ebrei in seno alla cristianità. Bisogna osservare che a ridosso del 1475 a Brescia e in diverse località del suo contado erano venute a scadenza le condotte decennali per il prestito ebraico, che il ceto mercantile avversava[17]. E’ facile intuire da ciò che la campagna propagandistica contro gli ebrei, a partire dalla vicenda trentina, doveva assumere i connotati di un’offensiva contro i banchieri ebrei. Per contrastare questo disegno, si mobilitano sia il governo della Serenissima che la stessa Santa Sede. L’allora pontefice Sisto IV emette bolle “contra pingentes et habentes puerum Simonem in dominibus suis” e per indagare sul corretto svolgimento del processo di Trento manda nella città un proprio commissario. Sottoposto qui ad ogni tipo di pressioni e di intimidazioni, quest’ultimo si convince dell’innocenza degli ebrei, individuando in Angelino Roper e Giovanni Schwezer, entrambi cristiani, i probabili assassini di Simonino.

Nell’affresco presente a Rovato[18] il fanciullo viene raffigurato come martire che patisce a testimonianza della crudeltà degli ebrei contro i cristiani. Il dipinto di Rovato risale al 1478, come diversi altri presenti tra la Valle Camonica, il Sebino e la Franciacorta (cfr. in Santa Maria a Lovernato di Ospitaletto; in San Giorgio a Niardo; in Santa Maria in Silvis a Pisogne; in San Pietro in Lamosa a Provaglio d’Iseo).
A questa data, giunge a termine anche la revisione del processo voluta dalla Santa Sede, che riteneva gli ebrei non responsabili dell’omicidio. Di fronte ad una “giustizia” che già aveva fatto il proprio corso, mandando a morte gli imputati, il Pontefice, costretto dalle circostanze, emana una bolla nella quale si sosteneva che il processo dal punto di vista formale si era svolto “rite e recte”. A contestarne l’esito, egli ribadisce però la proibizione di onorare Simonino come martire e beato.
Dal contenuto di una ducale del governo veneto del novembre 1475, e mai revocata, che vietava di “penzere in carte in muro né altramente” l’immagine di Simonino, sotto pena di venticinque pianete di multa[19], si può osservare come l’affresco di Rovato sia stato fatto abusivamente, come i molti altri realizzati nel bresciano tra il 1475 e il 1478.

Il Simonino di santo Stefano intende esprimere in chiave simbolica quali sono le conseguenze dell’usura praticata dagli ebrei. Ciò trova riscontro in una serie di citazioni: il coltello circoncisorio nella mano del beato, simbolo della perduta virilità, le gocce di sangue che cadono dalle sue ferite, che indicano il dissanguamento operato dall’usura ebraica a danno dei cristiani, ed il manto della preghiera ebraico (il tallet), sospeso come cappio al soffitto per indicare lo strozzinaggio così perpetrato. Sull’affresco è riportata la data di commissione o di esecuzione del dipinto: il 21 agosto del 1478. Questa data è molto significativa perché coincide con la massima incidenza della peste del «mazzucco», che miete tra le venticinque e le trentamila vittime su una popolazione che contava a Brescia e nel contado circa duecentomila abitanti[20]. In occasione di questa epidemia si avrà la massiccia diffusione del culto di san Rocco[21], ma in casi non rari si riscontra anche la diffusione di rappresentazioni del Simonino in un contesto che richiama molto probabilmente delle forme di esorcismo contro la peste.
Nel caso del Simonino di Rovato, la peste e l’usura costituiscono le facce della stessa medaglia. Infatti, all’epoca, si riteneva che il dilagare dell’epidemia fosse l’effetto peccaminoso della pratica del prestito su interesse. A rafforzare tale considerazione possiamo citare uno dei sermoni di san Bernardino da Feltre, durante il quaresimale di Pavia, che richiama a sua volta una predica di san Bernardino da Siena del 1444: «Dic de Santo Bernardino, qui existens Vicentine, 1444, erat magna pestis et dixit: State: super clericam meam, deponite usuras, et cessabit pestis; et ita factum est, usque 1488. Tunc unus posuit fora banchum ad usuras, et esce pestis, et nunquam potuti cessare, nec votis, nec orationibus, nec aliquo modo... Cessaverunt facere usura et cessavit pestis, et fecerunt Montem [...]»[22].

Ciò che colpisce nel Simonino di santo Stefano è l’assenza dei suoi genitali, pesantemente cancellati per effetto della progressiva asportazione del colore, operata da una punta metallica che ha prodotto il graffito-fregio. Il fatto di cancellare i genitali del beato (comune anche ad altri affreschi) non è da considerarsi qui un atto blasfemo, ma probabilmente un gesto legato a una funzione superstizioso - apotropaica per la cura di malattie varie[23] o in particolar modo della peste. Questa interpretazione ci viene suggerita anche dal fatto che sull’affresco di Simonino troviamo delle scritte atte a chiedere per mezzo della potenza del sangue versato dal piccolo martire l’intercessione per la cura di diverse patologie. Si legge appunto ai suoi piedi una scritta di colore ocra che recita: «virga manu sanas sangui [...]», mentre delle grosse gocce graffite che scendono dal pube del beato servono infine ad enfatizzare l’atto di evirazione [Fig. 4].

CONCLUSIONE
Nella chiesa di santo Stefano, il carattere votivo devozionale dei dipinti è palese in numerose rappresentazioni, assumendo altresì la funzione di pratica superstiziosa attraverso il gran numero di graffiti e iscrizioni che vi fanno da corredo. Per quanto riguarda questi ultimi abbiamo teso a mettere soprattutto in evidenza il significato apotropaico da essi rivestito, in quanto nella chiesa da noi studiata si prestano principalmente a svolgere tale compito. Rimane tuttavia da accertare se anche in altre chiese della zona i graffiti incisi sugli affreschi conservino l’attitudine espressiva di una religiosità popolare che affonda le proprie radici nel mondo delle superstizioni arcaiche. Ci proponiamo di vedere assolto in seguito e in modo più esauriente questo compito attraverso l’ulteriore indagine che estenderemo all’analisi dei graffiti e degli affreschi presenti anche nella chiesa dei santi Pietro e Paolo del contiguo territorio di Coccaglio (BS).

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FOTOGRAFIE

[Fig. 1]: S. Stefano, Rovato (Bs). XI-XII sec. d.C.
Veduta dell’ingresso principale. © Foto: Dimitriadis-Massetti.

[Fig. 2]: Nodo di Salomone. Casa Bortolo Brunello, Rovato (Bs) [cfr. Barbieri R., Bianchini I. (a cura di) 2002, Le carte catastali del Fondo Peroni: 1716-1780, Rovato (Cd-Rom)]. La sua collocazione sull’uscio del portale esalta la sua caratteristica da sigillo di protezione. © Foto: Dimitriadis-Massetti.

[Fig. 3]: S. Stefano, Rovato (Bs). Affresco policromo del santo pesantemente grafitto da punta metallica. © Foto: Dimitriadis-Massetti.

[Fig. 4]: S. Stefano, Rovato (Bs). Particolare affresco. Si legge: “1478 21 agusto Beat Simon”. In colore ocra è stata aggiunta in corsivo la richiesta di guarigione: “Virga manu sanas sanguine”. © Foto: Dimitriadis-Massetti.
NOTE

[1]COCCHETTI 1858; CANTÙ 1858; RACHELI 1894; AA.VV. 1998; FAPPANI, DONNI 1999.
[2] AA. VV. 1998.
[3] Ci atteniamo per la descrizione della chiesa e le trasformazioni architettoniche da essa subite nel corso del tempo a GAZZARA 1998-99.
[4] Cfr. a titolo informativo: COCCHETTI 1858; CANTÙ 1858; RACHELI 1894; GUERRINI 1957; FAPPANI, DONNI 1999.
[5] «Paitoni, de Paitonibus: antica famiglia bresciana presente come “capitanei de Paitono” ossia vassalli o feudatari del Monastero benedettino di S. Pietro in Monte Orsino e della Pieve di Nuvolento. Dalla famiglia il paese di Paitone ereditò nel 1311 lo stemma rappresentato da uno scudo con tre mezze lune d’argento due sopra e una sotto. Nel secolo XIV i Paitoni vennero a Nave. Nell’Estimo Generale della città di Brescia per l’anno 1430, figurano “Joannes et fratres de Paitonibus”, e nel Libro delle Custodie Cittadine del 1438, un Antonius de Paitonibus, il cui nipote e omonimo sedeva già in Consiglio prima della “serrata” del 1488. Lo stemma della famiglia è lo stesso del paese: “D’azzurro, a tre crescenti d’argento volti a destra”. Come ha rilevato Fausto Lechi “la famiglia dei Paitoni è una delle poche che in Brescia portano il nome di un paese della zona orientale della provincia a differenza della maggioranza delle famiglie (in genere i valvassori) che derivano il cognome da paesi della pianura e ancor più della zona occidentale”» in FAPPANI 1994.
[6] Dall’indagine archivistica risulta che già nel 1334 la chiesa pagava un tributo di 9 fiorini d’oro alla Santa Sede.
[7] Cfr. GUERRINI 1911. Il cardinale Borromeo ricordava nella sua visita che l’oratorio di santo Stefano «Est satis amplum et decens. Altaria tria habet. In eo celebratur diebus festis sancti Stephani et santi Laurentii et Omnium Sanctorum.» in TURCHINI, DONNI, ARCHETTI 2004.
[8] Cfr. BERTONI 1988.
[9] PANAZZA 1963; MAZZINI 1965.
[10] GUERRINI S. 1993.
[11] Ci atteniamo per queste datazioni a GAZZARRA 1998-1999.
[12] Per un excursus tematico intorno al nodo di Salomone ed ai suoi possibili significati rimandiamo a SANSONI 1998.
[13] Da ricerche condotte nel Fondo Peroni, presso l’Archivio Comunale di Rovato, nell’anno 1780 la casa risulta essere di proprietà di un certo Bortolo Brunello.
[14] Invece, un vero e proprio nodo di Salomone graffito lo abbiamo individuato anche in una chiesa del Sebino occidentale. Per la precisione nella chiesa della SS. Trinità di Parzanica (Bg) si rinviene un nodo di Salomone la cui esecuzione potrebbe risalire al 1100 d.C. in quanto accanto al nodo si legge l’acronimo AS f MC [annos factum 1100]. Da segnalare che nella stessa area Sebina si riscontrano scolpiti o graffiti più nodi di Salomone [N.d.a. Bellissimi nodi a stella adornano l’aureola della Madonna dipinta sulla parete sud del Monastero cluniacense di san Pietro in Lamosa a Provaglio d’Iseo (Bs)].
[15] Cfr. FAPPANI 1994.
[16] La bibliografia sulla vicenda è sterminata. Ci limitiamo a segnalare MENESTRINA1903; ECKERT 1965; TESSADRI 1974; QUAGLIONI, ESPOSITO 1990.
[17] Cfr. MASSETTI 1995.
[18] RIGAUX1987; FERRI PICCALUGA 1989; MASSETTI 1993, 1995.
[19] Archivio di Stato di Brescia, Curia Pretoria, Atti dei Rettori, f. 47.
[20] L’epidemia di peste del “mazzucco” è in realtà riconducibile a una delle prime infezioni di tifo sul continente europeo. Cfr. ALBINI 1982.
[21] Cfr. DONNI 1983.
[22] BERNARDINO DA FELTRE 1964.
[23] RIGAUX 1996.

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